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Chi paga per l’inflazione se i tassi non scendono

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Chi paga per l’inflazione se i tassi non scendono

Con la revisione al ribasso delle previsioni sulla crescita europea, in molti chiedono alla Banca centrale europea (Bce) di ridurre i tassi di interesse. Una richiesta legittima, certamente. Ma che, tuttavia, è basata su un grande malinteso. Ovvero che la lotta all’inflazione possa essere condotta senza produrre un rallentamento dell’economia. Sarebbe il caso di smettertela con questo “malinteso”, peraltro alimentato dalla Commissione europea e dai governi nazionali, a cominciare da quello italiano. E, iniziare a spiegare ai cittadini che arrestare la corsa dei prezzi ha un costo. Che, tuttavia, può e deve essere pagato maggiormente da chi è più abbiente.

Ma procediamo con ordine, partendo da tre punti incontrovertibili. Primo, l’inflazione è una tassa delle più odiose perché è iniqua. Deve, quindi, essere contrastata altrimenti il conto più salato lo pagheranno le persone svantaggiate.

Secondo, l’inflazione europea non è più ascrivibile unicamente a uno shock dal lato dell’offerta (leggi crisi energetica) ma è diventata anche un’inflazione da domanda che richiede un intervento da parte di Francoforte. Lo dimostra il fatto che l’inflazione core (inflazione di fondo), ossia quella depurata dai beni alimentari ed energetici, resta ancora sostenuta. Infatti, se l’indice armonizzato dei prezzi al consumo nell’area dell’euro scende a gennaio dal 2, 9% di dicembre al 2, 8, quello core si attesta su livelli più elevati, passando dal 3, 4 al 3, 3. E, qui veniamo al terzo punto: l’inflazione a cui fa riferimento la Bce è quella dell’area dell’euro. Si tratta di una media dei dati nazionali che possono essere anche molto diversi. In Italia, ad esempio, l’indice armonizzato dei prezzi al consumo a gennaio non è scesa ma salito rispetto al mese precedente – anche se su livelli assai più bassi della media europea (dallo 0, 5 allo 0, 9) –, mentre quello core ha seguito una dinamica simile a quella della media dell’area monetaria unica (decelerando dal 3, 1 al 2, 8).

Chiariti questi punti, veniamo all’azione. L’istituto di Francoforte, alla stregua di tutte le banche centrali, ha a disposizione uno strumento: il rialzo dei tassi di interesse. Tassi elevati, è evidente, limitano i consumi e gli investimenti. E, quindi, contrastano la performance economica. Tuttavia, come spiegato nei manuali di economia, non ci sono altre strade. E, soprattutto, non ci sono strade indolori: per raffreddare la corsa dei prezzi bisogna necessariamente passare attraverso una decelerazione della crescita.

Tale effetto, però, può essere mitigato. O meglio, può essere distribuito. Fare ciò non è compito della Bce bensì dei governi nazionali. Che cosa vuol dire nella pratica? Tocca ai governi nazionali calibrare la leva fiscale in modo da far pagare il costo del rallentamento a chi ha di più. In questa fase, quindi, serve selezionare. Ossia, dare solo a chi ha bisogno. Per intenderci, non ha nessun senso mantenere misure di sostegno uguali per tutti. Peraltro, queste misure, introdotte per far fronte alla crisi pandemica prima e a quella energetica poi, non possono essere eterne. Devono essere via via cancellate.

Una tendenza già in atto, con la sacrosanta eliminazione del Bonus 110%. E, che, inevitabilmente, ha un impatto sulla crescita. Lo ha spiegato la stessa Commissione nel suo rapporto allegato alle previsioni invernali: il rallentamento è principalmente ascrivibile al venir meno di questi sostegni. Del resto, gli aiuti servono a mitigare l’impatto dello shock, non a cancellarlo. Per quanto riguarda invece i compiti della Bce, la presidente Lagarde ha spiegato che lei e il consiglio direttivo dell’Istituto (ricordiamocelo, Lagarde non agisce da sola, al tavolo ci sono 20 governatori e 5 componenti del comitato esecutivo di cui uno è italiano) decideranno in base ai dati. A oggi, l’inflazione rallenta – per l’anno in corso dovrebbe attestarsi al 2, 7 – ma resta ancora sopra il target del 2%. La parola d’ordine è, quindi, prudenza. Il rischio di agire prematuramente è quello di ritrovarsi con l’inflazione che non scende. Uno scenario da non auspicare perché richiederebbe tassi mantenuti alti ancora a lungo oppure tassi persino rialzati. Per ricapitolare, la Bce combatte l’inflazione, i governi nazionali selezionano gli aiuti con la leva fiscale, la Commissione europea valuta e raccomanda gli interventi più adeguati. La distribuzione dei compiti è chiara. Dovrebbe essere altrettanto chiaro a questi attori che continuare a raccontare la favola che non ci sono costi per nessuno non aiuterà.

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