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Una partita a scacchi ai confini dell’Occidente

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Una partita a scacchi ai confini dell’Occidente

Come all’inizio del 2022 Occidente e Russia si preparano a una fase nuova del conflitto, con elementi inediti, mai visti persino nei momenti più tesi della Guerra Fredda. Due anni fa il tabù da infrangere era l’uso della forza militare per modificare i confini di uno Stato sovrano in Europa. Non era più successo dal 1945 in poi, a parte secessioni consensuali, come per la Cecoslovacchia o sanguinosissime, nell’ex Iugoslavia. Vladimir Putin ha rotto il tabù e provato a prendersi a cannonate un pezzo di un’altra nazione indipendente. È stata la breccia in una diga. Altri tabù hanno cominciato a vacillare. Emmanuel Macron ne ha messo uno sul tavolo. E cioè lo scontro diretto fra le truppe della Nato e quelle della Russia. Aleggiava da tempo, gli alleati della Francia lo hanno subito escluso. Ma lì sta.

Il leader francese, come spesso fa, agisce su due fronti, esterno e interno. Sul piano del confronto con la Russia ha introdotto una potente ambiguità strategica. L’invio di un contingente europeo è una possibilità che prima il Cremlino poteva escludere a priori, e ora deve valutare. Sa che è poco probabile, ma non può non tenerne conto. E per di più l’avvertimento arriva da un’altra potenza nucleare. L’Eliseo non sa se è sufficiente a frenare Putin nella sua marcia verso Kiev, pur molto lenta. Ma qualcosa bisognava fare. E qui si innesca il fronte interno.

Se nell’opinione pubblica si insinua l’idea che la sconfitta ucraina è inevitabile, la Russia ha vinto. L’azzardo di Macron ha scatenato un furibondo dibattito interno, che ha fatto uscire allo scoperto i suoi principali rivali, a destra Marine Le Pen, a sinistra Jean-Luc Mélenchon. Sono caduti nella trappola, più il secondo della prima, e i loro afflati pacifisti sono stati rintuzzati dal premier Gabriel Attal come “intelligenza con il nemico”, in estrema sintesi. Ora è più facile imporre l’evidenza che bisogna fare di tutto per salvare l’Ucraina. L’azzardo di Macron, l’avvicinarsi allo status di potenza belligerante, riduce gli spazi di dibattito interno su questo tema, mentre si avvicinano le elezioni europee del 9 giugno. La discussione sull’efficacia delle sanzioni, per non parlare della diplomazia, è già superata. La ha archiviata la stessa opposizione russa. Già prima della morte di Alexey Navalny i suoi collaboratori avevano fatto trapelare che le misure economiche non bastavano. Yulia Navalnaya lo ha detto in chiaro al Parlamento europeo.

La sua sfida diretta a Putin agisce in tandem con la nuova postura francese, l’attivismo della presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen, e con gli accordi bilaterali che impegnano sempre più Stati europei, a cominciare dall’Italia, a difendere Kiev, accettando rischi crescenti. Putin deve ora mettere sulla sua bilancia tutti questi elementi nuovi. La nascita di una bandiera dell’opposizione russa, libera di muoversi e sorretta da tutto l’establishment europeo. La maggiore determinazione, anche sul piano militare, della leadership occidentale. L’indebolimento degli argomenti della fronda pacifista all’interno degli Stati rivali. Vede ridursi le chance di un cambio di orientamento dopo il voto europeo. Confida poco persino in Donald Trump, lo ha detto, con il solito tono sornione. È vero che il tycoon non vuole dare soldi all’Ucraina. Ma più per mettere in difficoltà Joe Biden che per visione strategica. Anche un’America isolazionista, o “sovranista”, alla fine non può accettare la vittoria alla Russia. Un conto è ritirarsi dall’Afghanistan, un conto dall’Europa. Ne va della sua egemonia mondiale. Al leader del Cremlino resta la sua ambiguità strategica preferita. Cioè il possibile uso del nucleare. Il tabù dei tabù.

Lo spettro è riemerso con il leak dei documenti segreti sulla dottrina militare russa, pubblicati dal Financial Times. Che prevedono l’uso di armi atomiche tattiche se territori russi fossero in pericolo, vedi la Crimea. Ma dallo spauracchio dell’Armageddon siamo passati a ordigni di pochi chilotoni, capaci di annientare una brigata corazzata, non il mondo intero. È un’ambiguità strategica che corre su un crinale molto sottile. Va ancora vista, per fortuna, nella sua componente psicologica. Intimidire, confondere il nemico, restringere la sua libertà d’azione. Una partita a scacchi. Che prevede anche una patta. Resta da vedere se lungo il fiume Dnipro o, più a Ovest, il Nistro.

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