TORINO. Il giorno della verità, non solo dell’orgoglio. Il derby che decideva lo scudetto è un ricordo, ma le ambizioni europee, pur diverse, di Torino e Juventus ripristinano il pathos legato alla classifica. Ivan Juric chiede i tre punti per invertire una personale rotta – rischia d’andar via e non vuole essere tramandato come tecnico mai vincente, in tre anni, contro la Juve -, ma prima di tutto, ovviamente, per riprendere la scalata e agguantare un posto nelle coppe che potrebbe, oltretutto, vidimare la conferma. Il cammino granata gronda rimpianti, troppe occasioni sciupate hanno frenato la corsa, tuttavia la speranza resiste e i confini allargati ai club italiani soccorrono, battere la Juve significherebbe rilanciarsi e fare il pieno di fiducia per la volata finale.
Massimiliano Allegri s’accosta con sentimenti opposti: ha un contratto, ma nessuna certezza, vuole blindare la qualificazione in Champions che è da sempre obiettivo societario, rivendicato anche nella fase del galoppo quando il popolo e perfino qualche calciatore sognava. Una crisi profonda, inspiegabile, ha spazzato via le illusioni e seminato il timore d’un clamoroso risucchio, ma la vittoria sulla Fiorentina ha ridato fiato e il derby diventa prova del nove: tre punti dimostrerebbero che il successo sulla Viola non era fiammata, ma luce in fondo al tunnel, permetterebbero, avvicinando il traguardo, di accorciare i tempi della ricostruzione. Anche Max ha un motivo personale per imporsi: staccare Trapattoni e diventare il tecnico bianconero con più successi nella stracittadina, numeri da sciorinare per ribellarsi al destino che lo vuole discusso come pochi altri allenatori.
La partita si annuncia tattica, l’anticipa lo stesso Juric, ma incideranno fisicità – non casuale la scelta di Masina – e concentrazione, la Juventus tenderà ad aspettare e slanciarsi confidando particolarmente sulla velocità di Chiesa, il Toro punterà sulle corsie esterne – fondamentale l’uno contro uno – e sulla creatività di Vlasic, allineato nella mediana a cinque ma libero di sganciarsi: il nome del croato era evidenziato sulla lavagnetta di Allegri che ne prevede un controllo ad personam.
È il derby di Zapata e Vlahovic, migliori attaccanti del 2024, e di Gatti e Buongiorno, ragazzi di Torino, cresciuti in granata e finiti su sponde opposte: uno scartato, ripartito dal basso e capace di arrampicarsi fino alla Juve, l’altro compreso e coccolato, accompagnato fino alla prima squadra e all’azzurro. Le qualità fanno di Buongiorno un uomo mercato ambitissimo, la valutazione diventerebbe tentazione per qualunque club e i palcoscenici proposti farebbero vacillare qualsiasi gioiello, eppure l’addio è tutt’altro che scontato e l’Europa potrebbe rivelarsi un’ancora.
È il derby, infine, della gente del Toro che riempie come mai lo stadio e crede nel successo – manca dal 2015, passione e fiducia non ne risentono – e di quella bianconera che cercherà, dal suo settore, di non far mancare sostegno nella bolgia granata. Gli altri, milioni, incollati alla tv, agitati da sentimenti che sembravano perduti: l’orgoglio cittadino, certo, ma anche l’alta classifica che vale per due.