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L’Occidente in cerca del suo “nomos” nel caos globale

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L’Occidente in cerca del suo “nomos” nel caos globale

Il disordine globale va crescendo in modo direttamente proporzionale all’oggettivo sviluppo delle interdipendenze economiche, finanziarie, tecnico-scientifiche. Il mondo è sempre più un unico sistema economico-produttivo; la forma della competizione che aveva dominato nel Novecento fino al termine della terza Guerra mondiale è finita con il crollo dell’Urss; la Tecnica regna sovrana, e tuttavia malgrado sul suo dominio tanto pacifismo liberal-liberista ponesse il fondamento di un nuovo Nomos della Terra ci troviamo nel pieno di una tempesta che sconvolge passati equilibri e fuori della quale nessuno sembra in grado di guidarci. Vendetta più atroce nei confronti di coloro che pensavano la Politica non fosse più al comando e iniziasse l’epoca in cui ogni domanda sensata dovesse venir posta in termini semplicemente tecnico-economici e ottenere una risposta analoga, vendetta più atroce la storia non poteva prendersi.

Ma a ciò che accade è ben più arduo che nel passato dare una ragione. Le grandi guerre, da quando «figurato è il mondo in breve carta» (Leopardi, Ad Angelo Mai), si sono sempre scatenate per affermare un piano egemonico. La guerra assumeva un carattere totale perché totale era la strategia politica che con essa si intendeva realizzare. Tra il dominio britannico sul mare e la potenza napoleonica non poteva esserci compromesso, così come non poteva esserci con l’imperialismo guglielmino e tantomeno con quello del terzo Reich. Qui la guerra non può concludersi se non con l’incondizionata resa di uno dei contendenti. La situazione sembra potersi riprodurre alla fine della seconda grande Guerra, ma in realtà il quadro è del tutto mutato, e non solo perché le due potenze che si confrontano avevano vinto insieme, costrette all’alleanza dalla natura in tutti i sensi “diabolica” del loro comune Nemico. Se il conflitto ideologico e di sistema economico-politico tra i due Titani vincitori non esplode è non solo per la paura della Bomba, ma anche perché, con sempre maggiore chiarezza, gli Stati Uniti comprendono che la lotta per l’egemonia può esser vinta stressando l’avversario sul piano della competizione tecnico-scientifica, dell’efficacia economico-produttiva e della qualità delle èlites dirigenti (il crollo rovinoso di queste ultime nell’Unione sovietica nel corso del secondo dopoguerra è un caso unico della storia mondiale). La resa dell’Urss è avvenuta sostanzialmente nei termini di un suo pacifico arrendersi. Da allora, con buona pace di tutti i suoi ultra-nazionalisti nostalgici (tra cui eccelleva l’Aleksei Navalny), la Russia non avrebbe mai più potuto costituire il pericolo di una propria volontà egemonica nei confronti dell’Occidente.

Vi era perciò la possibilità di pensare davvero a un Nomos della Terra “libero” da astratte utopie di Tribunali mondiali, di risoluzione giudiziaria del conflitto politico, di una Repubblica universale, e tuttavia fondato su solidi compromessi tra i grandi spazi del pianeta. Compromessi ragionevoli e previdenti – poiché era chiaro che la soluzione del confronto con l’Urss non significava la fine della Russia, che non solo la Cina ma altri grandi spazi andavano affermando autonomamente il proprio ruolo politico, che restava apertissimo il problema, radicato nella guerra israeliano-palestinese, del rapporto tra Occidente e mondo islamico. Uscito vincitore nella competizione con l’Urss erano questi i problemi che l’Occidente americano doveva affrontare. E la ragione suggeriva e suggerisce che si affrontassero in un quadro policentrico dell’ordine globale, in una visione dello Spazio mondiale in quanto costituito da autonome sostanze, dotate di propria autonomia, uno Spazio federale. Ed è invece cresciuto il linguaggio della guerra. Ed oggi se ne parla come davvero si trattasse di guerra totale: nulla in mezzo tra i suoi disastri e la pace. La guerra si conclude solo con il trionfo di un vincitore e la resa del nemico. Avanti dunque – fino a quando? Fino a quando la Russia fallisca, come fallisce una qualsiasi banca? Qualche umano dotato di logos può crederlo? Fino a quando non possa più neppure porsi il problema di uno Stato palestinese? E come la mettiamo con i paesi del Brics? E come affrontiamo i drammatici problemi aperti con la strategia pacifica (nel Pacifico!) della Cina?

Il disordine globale cresce e l’Europa, che avrebbe dovuto rappresentare, per storia e per cultura, lo spazio politico portatore di quel Nomos federale della Terra, tace. Tace contro tutti i suoi interessi anche materiali. Eppure è proprio l’Occidente oggi che ne avrebbe il massimo vantaggio. Possibile che non si veda il salto d’epoca? Le grandi guerre sono state, fino al crollo del Muro, “guerre civili” per l’egemonia tra potenze occidentali (per molti versi ciò vale anche per la stessa terza grande Guerra). Ha dominato fino alla Prima l’Occidente europeo, poi quello americano. Potrà mantenersi questa egemonia? Assolutamente non più nei termini di un primato economico-produttivo e sempre meno anche di quello tecnico-scientifico. Dal ’90 a oggi il Pil americano rimane ¼ di quello mondiale, ma quello dell’Unione europea passa dal 27% al 16% (dati precedenti le guerre in corso), mentre quello cinese salta da circa il 2% al 20% e quello indiano triplica il suo peso percentuale. L’andamento demografico illustra ancora più chiaramente i nuovi equilibri e ammonisce drammaticamente sulle contraddizioni che si dovranno affrontare: a metà di questo secolo l’Europa avrà gli stessi abitanti del 1950 (dal 21% al 5% della popolazione mondiale) e l’Africa dieci volte in più. L’Occidente ha bisogno di dar vita a un nuovo Nomos della Terra, ne ha bisogno se vuol difendere la propria identità culturale, in termini di reale partecipazione politica, di civiltà giuridica fondata sulla terzietà del giudizio e cioè sull’autonomia della magistratura, di piena libertà di espressione e di critica, di trasparenza degli atti pubblici. Difendono oggi tutto ciò coloro che non desistono dal cercare la pace anche mentre infuria la guerra, che non credono nella sua inevitabilità, coloro che ragionando sanno che le guerre in corso non potranno finire con vittorie o rese incondizionate, che la Terra non potrà essere organizzata come uno Spazio unico se non trasformandola in deserto. Prima che l’egemonia dell’Occidente si rovesci in una sua sconfitta, inizino a difenderlo veramente coloro che soltanto nei luoghi della sua storia e delle sue culture hanno vissuto e potrebbero continuare a vivere.

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