La vicenda della strage di Altavilla, costata lo sterminio di una famiglia, riporta alla ribalta il problema delle sette, dei radicalismi ideologici, della esaltazione dei convincimenti religiosi anche quando sono in contrapposizione con il primario diritto alla vita. Illuminante una pronuncia della Cassazione di qualche anno fa a proposito di un’appartenente affiliata dei testimoni di Geova che nel 2004 rifiutò una trasfusione di sangue necessaria per scongiurare una emorragia costringendo i medici, per salvarla a sottoporla a sette trasfusioni coatte. La donna, adducendo le sue convinzioni religiose, intentò un giudizio risarcito rio contro i sanitari. La domanda, respinta dal Tribunale di Milano e dalla Corte di Appello della stessa città, fu accolta con sentenza n.24469 del 2020 dalla Corte di Cassazione che affermò il seguente principio di diritto: “Il testimone di Geova, che fa valere il diritto di autodeterminazione in materia di trattamento sanitario a tutela della libertà di professare la propria fede religiosa, ha il diritto di rifiutare l’emotrasfusione anche in ipotesi di pericolo di vita”. E ciò perché “il diritto all’autodeterminazione include il rifiuto a quanto specificato in anticipo e ribadito nel momento del pericolo”. Il dissenso per ragioni religiose è per la Corte l’espressione di un diritto inviolabile, anche in ossequio al concetto di laicità dello Stato.
Il ragionamento della Suprema Corte sembra del tutto inaccettabile e in contrasto con quanto si era ritenuto in precedenza da vari giudici tra cui, se mi è permessa la citazione, anche dallo scrivente: prima per un paziente che non intendeva farsi amputare una gamba ed è ancora vivo, poi per un caso del tutto identico a quello esaminato dalla Cassazione nel quale mi pervennero i successivi ringraziamenti scritti dei familiari
Le ragioni alla base della non vincolatività del rifiuto sono le seguenti: 1) la libertà di scelta prevista nell’articolo 32 della Costituzione, nel momento in cui entra in conflitto con l’inviolabilità della vita umana garantita dalla stessa Carta Costituzionale a tutti i cittadini, è destinata a retrocedere essendo di rango secondario; 2) i medici, sulla base del cosiddetto giuramento di Ippocrate, hanno il dovere di attivarsi per salvare la vita dei loro pazienti, potendo in caso contrario essere perseguiti sul piano penale e risarcitorio, come pure sotto il profilo deontologico; 3) tra la scelta a contenuto negativo del testimone dio Geova e quella a contenuto positivo è innegabile la prevalenza di quest’ultima sulla prima; 4) il caso di specie non ha nulla in comune con l’eutanasia, poiché la legge 219 del 2017 sul biotestamento si occupa di situazioni nelle quali il livello di sofferenza fisica del paziente in conseguenza di un male incurabile ha oltrepassato la soglia della umana sopportazione. Sulla base di tali considerazioni, pur non disconoscendosi la delicatezza degli aspetti etici, medici e giuridici della fattispecie, la contrarietà all’orientamento espresso dalla Cassazione va mantenuta, con l’auspicio che la questione, quando dovesse essere riproposta, sia portata all’esame delle sezioni unite della Cassazione o (perché no?) della Corte Costituzionale. Non si tratta di tutelate la laicità dello Stato ma di dare un significato in termini valoriali ai principi della nostra Carta Costituzionale che pone al primo posto il diritto alla vita.
BRUNO FERRARO
Presidente Aggiunto Onorario Corte di Cassazione