Dopo quasi 6 mesi di guerra l’Onu, per la prima volta, ha votato per un cessate il fuoco immediato a Gaza, favorito dall’astensione degli Usa in Consiglio di sicurezza. Una decisione che ha fatto infuriare Israele, che ha bollato il mancato veto dell’alleato americano come «un passo indietro» dell’amministrazione Biden. La risoluzione, ha attaccato lo Stato ebraico, non cita Hamas e non favorisce la liberazione degli ostaggi ancora prigionieri nella Striscia. Per ora – mentre sono aperte le trattative con Hamas a Doha mediate dagli Usa, dal Qatar e dall’Egitto – la mossa americana ha avuto come effetto immediato l’annullamento da parte del premier Benyamin Netanyahu della missione di alti esponenti israeliani che, su richiesta del capo della Casa Bianca, avrebbero dovuto recarsi a Washington per discutere della guerra e dell’annunciata operazione militare a Rafah.
Al contrario, Hamas ha esultato per il voto dell’Onu e si è detta disponibile «ad impegnarsi in un immediato processo di scambio di prigionieri che porti al rilascio dei detenuti di entrambe le parti». Nel documento approvato dal Consiglio di Sicurezza con 14 voti a favore e, appunto, l’astensione Usa si chiede un «cessate il fuoco immediato per il Ramadan rispettato da tutte le parti che conduca ad un cessate il fuoco durevole e sostenibile e il rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi, nonché la garanzia dell’accesso umanitario per far fronte alle loro esigenze mediche e umanitarie». Un testo che ha ricevuto il plauso della comunità internazionale, Italia compresa. «Certamente rappresenta un primo positivo passo in avanti», ha commentato il ministro degli Esteri Antonio Tajani, mentre il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha sottolineato che «la risoluzione deve essere attuata» perché «ora un fallimento sarebbe imperdonabile».
La Francia è andata oltre, chiedendo un cessate il fuoco «permanente» al termine del Ramadan, il 9 aprile. Ma la reazione di Israele è stata furiosa. L’astensione degli americani, ha denunciato l’ufficio del premier Benyamin Netanyahu, «è un passo indietro chiaro dalle posizioni assunte dagli Usa fin dall’inizio della guerra. Colpisce lo sforzo bellico e quello per liberare gli ostaggi perché offre a Hamas la speranza che pressioni internazionali gli consentiranno di ottenere un cessate il fuoco senza rilasciare i rapiti». L’ambasciatore all’Onu Gilad Erdan ha ammonito che «non subordinare il cessate il fuoco al rilascio degli ostaggi danneggia gli sforzi per liberarli. Tutti avrebbero dovuto votare contro questa vergognosa risoluzione» che «non condanna l’attacco di Hamas del 7 ottobre». «Non cesseremo il fuoco – ha ammonito il ministro degli Esteri Israel Katz -. Distruggeremo Hamas e continueremo a combattere finché l’ultimo degli ostaggi non sarà tornato a casa».
Mentre il titolare della difesa Yoav Gallant – che si trova negli Usa per incontrare il segretario di Stato Antony Blinken e il consigliere per la Sicurezza nazionale Jake Sullivan – ha detto che Israele «non ha il diritto morale di fermare la guerra a Gaza» fino a quando tutti gli ostaggi non saranno tornati a casa. Gli Stati Uniti hanno ribattuto punto su punto alle accuse israeliane. Dopo aver chiesto al Palazzo di Vetro l’immediata liberazione degli ostaggi, il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale John Kirby ha spiegato che «l’astensione non cambia la nostra politica». Washington, ha insistito, «ha sempre chiesto che il cessate il fuoco fosse legato alla liberazione» degli ostaggi. Quindi ha sottolineato come gli Usa siano «molto delusi» dal fatto che Israele abbia deciso di non inviare più la sua delegazione a Washington. Ora si tratta di vedere quanto la risoluzione riesca ad impegnare le parti e quali riflessi avrà sulla possibile operazione a Rafah, che gli Usa e la comunità internazionale giudicano un errore. Il ministro del Gabinetto di guerra, il centrista Benny Gantz, ha criticato la decisione di Netanyahu di non mandare la delegazione negli Usa chiedendo che a questo punto ad andare da Biden sia lo stesso premier. Ma anche detto che la risoluzione «non ha un significato operativo per Israele». Mentre il ministro centrista Gideon Saar ha annunciato le dimissioni lamentando di non essere riuscito ad influire sulla conduzione della guerra.
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