Secondo le Nazioni Unite la vera grande crisi idrica mondiale ci sarà fra sei anni, nel 2030. Pochi giorni fa è stata celebrata la Giornata Mondiale dell’Acqua e i dati aggiornati fanno rabbrividire e caricano di ulteriori responsabilità i Paesi, come il nostro, che ha acqua in abbondanza e la spreca da anni, malamente.
Oggi si stima che ci siano 2,2 miliardi di persone che vivono ancora senza accesso all’acqua potabile gestita in modo sicuro, mentre 3,5 miliardi non hanno accesso a servizi igienico-sanitari sicuri. E noi sprechiamo bellamente il 42% dell’acqua immessa nei cicli di distribuzione. Insomma, su 100 litri di acqua in acquedotto solo 58 litri arrivano al rubinetto. Una vergogna e un problema.
La vergogna è tutta nelle cifre: uno spreco immorale, a fronte del bisogno estremo di acqua in tante parti del mondo. Il problema è tutto nella assuefazione con cui accettiamo da anni questo disservizio.
SPRECHI IMMORALI
La nostra rete acquedottistica è lunga circa 550.000 km ma il 60% risale a oltre 30 anni fa, e il 25% a 70-80 anni fa. La rete fognaria è lunga circa un milione di km. Servirebbe sostituire, rigenerare e riparare almeno 200.000 km di reti e posare 50.000 km di nuove condotte, 30.000 per l’acqua e 20.000 per le fognature. Ma con l’attuale tasso di rinnovo ai minimi europei – 3,8 km l’anno – Utilitalia calcola un tempo di 250 anni per eliminare le perdite. E i fabbisogni complessivi stimati dai 61 Piani di Ambito italiani sono pari a 65 miliardi di euro, di cui 26 immediati. Un disastro.
Di fronte a tutto ciò si continua a cincischiare sulla necessaria estraneità dei privati nella gestione della risorsa più preziosa del mondo. Salvo poi accettare che il pubblico – quasi sempre con soci privati di minoranza – faccia utili aumentando le tariffe, spiegando che si tratta di una normale gestione d’impresa (talvolta quotata) quindi votata al profitto. Delle due l’una: o si dà al privato chiavi in mano, un servizio da mettere a gara, dove vince chi fa pagare di meno ed eroga un servizio migliore; oppure si tiene la mano pubblica, imponendo però investimenti veri a fronte dei ricavi in bolletta che invece vengono usati per pagare dividendi al Comune, oltre che ai soci privati.
E SE SI PRIVATIZZASSE?
Un ircocervo che danneggia sempre e solo i cittadini, che devono pagare e tacere. Acea – per fare un esempio- sbandiera la crescita dei suoi utili e la sua presenza internazionale: in Perù, in Honduras con nuovi obiettivi in Europa, Africa e Medio Oriente. Ma siamo sicuri che il servizio idrico nella Capitale sia adeguato e a prezzo ragionevole? Ed è normale che la società che gestisce le criticità della rete idrica cittadina, prima di soddisfare l’esigenza dei cittadini provveda a cercare nuovi mercati all’estero? Non solo, con i soldi raccolti dalla tariffazione faccia utili?
Di fronte a questa situazione bipolare (colossali sprechi idrici in tutto il Paese, tariffazione alta, utili in crescita per le utility ex -municipalizzate) sarebbe proprio assurdo invocare qualche gara anche nella gestione dell’acqua?
Nel settore del trasporto pubblico locale la presenza dei privati è vista come fumo negli occhi- il monopolio dei taxisti è incrollabile, come quello delle società pubbliche nella gestione delle tratte ferroviarie locali – mentre nel mercato dell’acqua i privati si accomodano, ma solo approfittando, quota parte, di un monopolista pubblico, che a fronte di un buon dividendo per il Comune può bollettare come gli pare e investire solo se gli va (e quanto gli va). E tutto ciò è trasparente?
Intendiamoci, le società devono fare il loro mestiere. Però dovrebbero guadagnarsi il mercato (magari con una gara), invece che sfruttarne il monopolio.
di Antonio Mastrapasqua
ex presidente dell’Inps