Sessantotto anni. Potremmo dire, con un gioco di parole e di numeri, che è una “sessantottina”. In effetti lo spirito è sempre quello. Scanzonato, ribelle, giovanile. Donatella Rettore non puoi mica etichettarla. Sfugge ai canoni. Questa settimana andrà a Sanremo, luogo che conosce da sempre. La prima volta che ci andò per cantare, dovette saltare la scuola. La sua carriera è piena di successi e incomprensioni. Nei primi anni vendeva mezzo milione di dischi in Germania mentre in Italia era quasi sconosciuta. Poi arrivò “Splendido splendente” e il gran successo. Ha dedicato canzoni anche a personaggi come lei molto divisivi: Gabriele D’Annunzio, Luigi Tenco…
Da dove cominciamo Donatella?
«Non so: io sono tifosa dell’Hellas…».
Il Verona?
«Sì, ero lì quel giorno che abbiamo vinto lo scudetto».
Vai ancora allo stadio?
«Sempre meno. Soffro troppo».
Il calcio è cambiato?
«Sì, troppo. Anche la musica. A me piacciono i dischi. Non ci sono più i dischi».
In che fase della tua vita sei?
«Sono una signora di una certa età. Mi voglio divertire. Quello che ho fatto nella vita mi è stato (in parte) riconosciuto. Non tutto ma mi accontento. Vedo però che intorno a me non è possibile rilassarsi e vivere una bella anzianità da vecchia rockettara».
Da cosa dipende?
«Dal fatto che la gente è cattivissima. Io mi sono rilassata molto di più negli anni ottanta che adesso».
Cattiva perché?
«Forse perché è bigotta. A essere bigotti si diventa cattivi. Poi questa cosa che si sono inventati del politically correct è folle. Questa mania di inventare regole».
Cos’è il politically correct?
«È la nuova censura. Vive d’odio».
Ne senti molto in giro?
«Sì, soprattutto verso i giovani. Penso anche alla criminalizzazione dei giovani».
…ci sono le baby gang…
«Le baby gang? Io dico: siete voi che l’avete create queste baby gang. Se gli aveste offerto una società decente, ai giovani, non ci sarebbero le baby gang».
Se negli anni ottanta ci fosse stato il politically correct avresti potuto scrivere i testi scorretti che hai scritto?
«Sicuramente no».
Dove nasce il politicamente corretto?
«È la malafede. Volere equivocare. Fare casino. Fare in modo che ciascuno si faccia i fatti propri».
Ti senti rappresentata dal nuovo femminismo?
«Ma no! Le vere battaglie sono quelle per lo stipendio, che le donne guadagnano meno degli uomini. Questa è una battaglia. Non quella per dire presidenta e ingegnera».
Non c’è parità tra donna e uomo?
«No. Non c’è. A un certo punto negli anni novanta sembrava che noi donne ce l’avessimo fatta. Poi si è fermato tutto».
Chi è nemico delle donne?
«Le donne. Non tutte però. Ci sono anche le donne che sono leali con le donne. Poi ci sono le stronze. E sono tante».
Tra i maschi hai amici?
«Sì. Amici veri».
Ti vedremo a Sanremo. Cosa rappresenta per te Sanremo?
«L’ho vissuto varie volte. Il mio primo Sanremo è del 1974. Andavano a scuola. Era l’anno della maturità. Avevo mandato delle canzoni a Ravera per partecipare a Castrocaro, che si teneva l’estate. Dopo gli esami. Invece a gennaio mi telefonano, mi passano Ravera e lui mi chiede di fare Sanremo. Io dico: “devo chiedere a mamma”. Però mamma non voleva. Una battaglia. Alla fine accettò e mi accompagnò».
Cercavi gli appalusi?
«Mai cercati».
Non cercarli ti ha danneggiato?
«Certo. Ma chi se ne frega».
Eri così bastian contrario sin da bambina?
«Sì, e mia madre mi mandava in collegio dalle Dorotee. Severissime».
La canzone che ti ha consacrato, “Splendido splendente”, come è nata?
«Una sera leggendo la vita di Marilyn Monroe lessi che lei aveva il problema del mento. Troppo lungo, se lo fece rifare. Pensai: “se l’ha fatto lei lo faccio anch’io”. Poi non feci niente. Però scrissi la canzone sulla chirurgia estetica che fece scandalo e successo. Oggi l’espressione “splendido splendente” sta anche nella Garzantina».
È vero che hai iniziato cantando le canzoni di Caterina Caselli?
«Prima ancora. Da piccola mia zia mi portava in un cinema e mi faceva cantare e presentare gli spettacoli a carnevale».
A chi ti sei ispirata?
«Caselli, Patty Pravo. Poi diventai fan di Gabriella Ferri. Joan Baez. Nel mio immaginario Joan Baez era la prima cantautrice».
Nella tua carriera hai dovuto combattere contro i pregiudizi?
«Certo. Per esempio- ti stupirò – il pregiudizio anti settentrionale. Ti racconto questo. Quando ho scritto “Cobra” l’ho fatto per prendere in giro un mio amico della Basilicata che diceva che loro al Sud avevano i serpenti veri, grossi, i cobra e noi al nord solo serpentelli. Allora ho scritto “cobra” e ho detto che il cobra non è un serpente…».
Ti aspettavi il successo che ha avuto quella canzone?
«No, proprio no».
Si capì che eri ironica?
«Macché. L’ironia in Italia non è mai capita».
Ti attaccavano?
«Dicevano che ero pruriginosa…».
I pregiudizi verso di te col tempo sono passati?
«Sono rimasti. Mi ricordo che mi censurarono una canzone che avevo scritto sul Natale. Diceva: lasciamo vivere gli abeti e coloriamo le suore».
Le suore?
«Si, ce l’ho sempre avuta con le suore. Insomma, appena in Rai l’hanno letta, sdeng, cassata».
Ma che dicevi sulle suore?
«Solo che potevano vestirsi più colorate».
“Remember”, canzone tua celeberrima. La scrisse Elton John…
«Sì, non l’aveva scritta per me, ma per Frank Sinatra».
E perché non la cantò Sinatra?
«Elton john gli chiese un provino e non gli piacque. Poi ascoltò un mio provino e gli piacque».
Così hai battuto Sinatra?
«Già».
Tu sapevi l’inglese?
«Benissimo. Avevo studiato come interprete parlamentare».
Cosa facevi di preciso?
«Traduzioni simultanee con specializzazione nel linguaggio parlamentare. Anche direttamente dal francese all’inglese, senza passare per l’italiano».
Ti piace la politica?
«No, a me piace il calcio. Sono assolutamente apolitica. Non mi rappresenta nessuno. Un po’ gli animalisti,un po’ i verdi. Ma poi anche loro finisce che cercano solo voti».
Un tempo ci si divideva tra Beatles e Rolling Stones: tu con chi stavi?
«Coi Rolling Stones».
Qui c’è spazio per il Rock?
«Certo».
Chi ti piace di oggi?
«I Maneskin».
Coi social che rapporto hai?
«È una piaga sociale. Li uso poco».
Quale è la canzone italiana più bella?
«Sono tante. Battisti, direi».
Ti piaceva Battisti?
«Tantissimo. L’ho anche conosciuto».
Cosa ti ha condizionato nella vita?
«La mia talassemia. Mi costringe a stare molto attenta a come vivo. Poi al Nord c’è un clima atmosferico difficile».
Ultimamente duetti sempre con ragazzi giovani. Anche quest’anno a Sanremo…
«Il primo duetto l’ho fatto con Caterina Caselli. In inglese. Un pezzo che hanno fatto anche Crosby, Bowie. È stato molto bello cantare con lei».
Sanremo, quest’anno?
«Farò un duetto con “La Sad”. Un gruppo rock composto da Theø, Plant e Fiks che all’Ariston porta un brano di denuncia sul disagio giovanile. Per questo hanno voluto riproporre con me “Lamette”».
Secondo te la violenza nei giovani da cosa dipende?
«Dal disagio. Non sanno come sfogarsi. E trovano uno sbocco nella violenza…».
Ieri avevano un modo per sfogarsi?
«C’era la politica, le manifestazioni… Non torniamo a quei tempi. Non torniamo alle bombe e a piazza Fontana».
“Dammi una lametta che mi taglio le vene”. Questa tua frase che vuol dire?
«A Roma si dice così: me taio, damme ’na lametta, me sgaro… sono modi di dire romani. Non certo un’esaltatazione al suicidio. Anche perché sai come finiva quel disco?».
Come?
«Con Giulietta. La più dolce delle morti».