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Capire la storia prima di giudicarla

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Capire la storia prima di giudicarla

Diversamente da quanti stanno parlando di brigatisti in questi ultimi giorni, credo di essere tra i pochi che li ha ospitati, talvolta a lungo nella mia Fondazione Exodus perché favoriti dalla legge Gozzini. Marco Donat-Cattin, Piero Falivene, Vincenza Fioroni, Roberto Adamoli, Arrigo Cavallina, Valerio Morucci, Adriana Faranda Michele Viscardi, Patrizio Peci, Walter Sordi (pentito di destra), Graziella Mascheroni e Mario Ferrandi (soprannominato coniglio), l’intellettuale di Prima Linea. Ho riportato questi nomi, per dimostrare che non parlo di chierichetti e per rispondere, alla mia maniera, all’articolo su La Stampa del 9 marzo del dottor Giancarlo Caselli, con il titolo “Perché i brigatisti erano soltanto criminali”.

Mi viene in aiuto Piero Colaprico, giornalista di Repubblica e mio amico nelle scorribande dentro il Parco Lambro, nelle notti dell’inferno delle droghe. Colaprico ha scritto un libro dal titolo La Rivoluzione di Exodus e riporta frasi di Ferrandi a proposito del terrorismo e del rapporto che sboccia tra chi ha ucciso e la Chiesa. «È un passo da riportare – dice Colaprico – perché nell’Italia laica va detto – ognuno si chieda se questo gli piace o gli dispiace – che sono stati e sono spesso gli uomini con la tonaca, i più pronti a riflettere e trovare soluzioni». Ed ecco cosa sostiene Mario Ferrandi, dividendo il mondo in varie visioni. «Abbiamo la visione che potremmo definire militare-giudiziaria… poi c’è la versione che potremmo definire paranoica e speculare a quest’ultima versione dei terroristi irriducibili pronti a sterminare spietatamente qualsivoglia oppositore, emerge prepotente il dialogo terroristi-Chiesa, autentica novità positiva di questi anni, che ha colto ogni altro interlocutore impreparato e, come spesso accadde in questi casi, non si è trovato meglio che stendere sul nuovo, l’untuosa coltre del paternalismo e della civica irrisione». Le premesse di dissociazione si basano su questa analisi critica del passato, in chiave politica e giuridica e in un’offerta per il futuro, mettendo le nostre storie al servizio della comunità. «Questa offerta è stata veritiera?». Si domanda sempre Ferrandi. «Sì, oggi si può dire che chi è stato disponibile a lavorare nel sociale, non ha tradito. Non era un escamotage per prendere punti e guadagnare la fiducia della magistratura e dei politici». Fin qui Ferrandi e io confermo perché il mio discorso con loro è sempre stato schietto.

Non ho sentito odore di perdonopoli, ma una volontà di riconciliazione con la società e nella società. Solo la comprensione di questo incontro porta con sé la scoperta delle ragioni profonde del terrorismo e come immediata conseguenza l’intuizione del perché e del dove questa nostra società abbia fallito e dove mettere quel di più di umanità senza il quale la vita rischia di apparire a volte indegna di essere vissuta. Queste mosse (io metto insieme la legge Gozzini e le nostre mosse socio-politiche), hanno acceso i segnali dell’uscita dagli anni di piombo e la svolta di molti terroristi pentiti o dissociati, è stata coerente.

Ci tengo a ricordare un caso che mi sta molto a cuore: Marco Donat-Cattin, con il suo cane pastore, fondò una delle comunità di Via Chioda a Verona e, una sera in autostrada, all’altezza di Sommacampagna, in un incidente stradale, essendosi fermato per aiutare l’anziana signora ferita, fu falciato da un’altra macchina. Io al mattino, avvisato dal papà, sono partito per andare all’obitorio dell’ospedale di Verona, per benedire la sua testa fracassata. Una botta forte per me! Vi devo dire che dopo quella morte faccio fatica a pensarlo criminale… come faccio fatica a santificarlo. Non sarebbe meglio per tutti che la storia tentassimo di capirla prima di giudicarla?

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