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A cosa mirano gli ayatollah

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A cosa mirano gli ayatollah

Pazzi? Suicidi? Fanatici? Aspiranti a un colossale martirio collettivo, a una escatologica fine della Storia da cui esca con il forcipe della guerra il secolo di Dio? Forse nel modo in cui analizziamo, maneggiando il nostro pragmatismo, le scelte dei Paesi e di movimenti che non sono Occidente, soprattutto di quelli che hanno mescolato in una composto micidiale politica e dio e così hanno conquistato il potere, trascuriamo di tener conto di come agiscano le passioni violente, l’irrazionale. Attenzione, pendio pericoloso.

Per noi sono insorgenze diaboliche e decentrate dell’islamismo fanatico, sunnita o sciita, non facciamo differenza. E se fosse proprio questa irrazionalità il modo in cui, Iran o Califfato, si definiscono come Altro, come radicalità assoluta che nella sua realizzazione è la ragione stessa del loro esistere? Questo nichilismo attivo e violento che a noi stanchi edonisti dei contrappesi, delle gerarchie dell’utile appare insano, non è il senso stesso della loro sopravvivenza, in cui si impongono e si espongono? Proclamano la propria potenza e nello stesso tempo la propria vulnerabilità?

Israele conosce bene i nemici che ha intorno. Sfregiando gli ayatollah con l’attacco a Damasco, umiliandoli davanti agli alleati sudditi non ha forse voluto costringerli a scatenare quella Grande Guerra mediorientale in cui Netanyhau spera di trovare la scorciatoia per uscire dall’impasse di Gaza?

E se gli ayatollah, e soprattutto i pasdaran che sotto la loro copertura teologica esercitano il vero potere quello della forza e del denaro, avessero colto semplicemente un’occasione? Nel disordine del secolo innescato dal loro alleato Putin si può osare quello che fino a due anni fa era troppo pericoloso, impossibile. In una caos in cui non si fa più economia della guerra, credono sia possibile colpire Israele e poi dettar loro le regole: missione finita, adesso siamo pari…

Mentre i droni iraniani volavano verso Israele e dichiaravano la guerra aperta esplicita diretta tra i due veri, grandi nemici del vicino oriente, la domanda è: perché questa scelta? In fondo Teheran aveva già guadagnato molto rendendo possibile la sconfitta di Israele del sette ottobre, di fronte ad Hamas irrimediabile perché ha distrutto il mito fondatore della sua inviolabilità. Non aveva alcun interesse a uscire dalla comoda posizione di regista occulto. Il trascorrere del tempo, sei mesi di strage, con il progressivo isolamento d Israele e la manifesta impotenza del quinto esercito del mondo a raggiungere l’incauto livello della vittoria, annientare Hamas, che lo stato ebraico si era fissato, era già una preziosa vittoria strategica nei confronti del “Piccolo Satana” mediorientale che gli ayatollah hanno promesso di cancellare. Non meno esaltante la dimostrazione della impotenza del Grande Satana americano imbambolato in una umiliante trattativa con il premier israeliano per convincerlo a non esagerare a Gaza. Squarciando il velo sulla realtà: Washington non riesce più in questa zona del mondo neppure a dare ordini al suo principale alleato.

Attendere dunque, temporeggiare, al massimo utilizzare le pedine della grande mezzaluna sciita che l’Iran ha imbastito con pazienza, gli iracheni, Bashar e la sua setta siriana, mantenuto al potere e ormai vassallo, Hezbollah libanese la cui esistenza senza ayatollah e guardiani della rivoluzione non durerebbe un giorno, per vibrare qualche colpo a Israele, lanci di razzi, incursioni di commandos terroristici. E saldare così senza rischi i conti per l’uccisione dei comandanti delle guardia della rivoluzione a Damasco. E invece…

Abbiamo lasciato l’Iran indebolito dalle sanzioni internazionali (ma come per la Russia questo strumento di punizione occidentale sui renitenti ha ancora efficacia?) minato alla base dalla ribellione eroica delle sue giovani generazioni. In fondo uno stato canaglia: bastava avere pazienza per festeggiare la fine del sogno teocratico di Khomeyni nel convulso finale del secolo breve. Non abbiamo tenuto conto che le teocrazie hanno una capacità di violenza assoluta nei confronti delle rivoluzioni interne che possono demonizzare come insurrezioni contro Dio e annientarle è terapia necessaria per estirpare l’eresia. E soprattutto che una guerra, una guerra contro il Nemico per definizione, Israele, è un nirvana succulento per deviare i problemi interni, rendere ogni dissidenza anche la più giustificata, un semplice “tradimento”.

Teheran era impegnato in una sottile lotta contro il tempo, prolungare lo scontro con l’Occidente su un piano verbale fino a quando il vero scopo della strategia degli ayatollah fosse arrivato al suo punto di non ritorno, possedere l’arma atomica, che garantirebbe la impunità assoluta rispetto a qualsiasi delitto. L’attacco a Israele può significare che l’arma atomica che si supponeva ancora lontana è già nel loro arsenale?

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