Debito comune per finanziare, parzialmente, la ripresa post-pandemica dell’Unione europea e dei suoi Stati membri. Ma debito, appunto, come recita la parola stessa, che qualcuno dovrà onorare. La Commissione Ue, che si è recata sui mercati per reperire le risorse? Gli Stati? O, peggio, i cittadini? La Corte dei conti dell’Ue questa domanda inizia a porsela, e la risposta sembra ricadere sull’opzione numero tre: i cittadini.
Un’analisi preliminare dello speciale programma dell’Unione europea, varato nel 2021, mette in luce almeno una criticità, legata alla struttura di NextGenerationEu, il programma da 750 miliardi di euro che incardina il Recovery Fund, da una potenza complessiva di 672 miliardi di euro con cui finanziarie i piani per la ripresa.
NextGenerationEu si compone di due linee di credito: una fatta di garanzie, e una di prestiti. I prestiti, in quanto tali, andranno rimborsati. Ma anche le garanzie. E’ qui quello che i revisori dei conti di Lussemburgo ravvedono «un inghippo» della strategia a dodici stelle: la linea di credito fornita agli Stati tramite garanzie «non si tratta di denaro “a fondo perduto”, in quanto dovrà essere interamente rimborsato tra il 2028 e il 2058».
Su chi ricadrà questo onere non è chiaro, tanto che la Corte di conti domanda: «La responsabilità del rimborso sarà trasferita alla prossima generazione di contribuenti, come suggerisce bene il nome del fondo?» (NextGenerationEu, ovvero «prossima generazione europea»).
Il dubbio dei revisori dei conti deriva dal riconoscimento di una «assenza di una fonte specifica di finanziamenti Ue per rimborsare i prestiti», e per questo motivo, per l’istituzione di Lussemburgo, «cresce la preoccupazione per il rimborso dei prestiti prelevati dai mercati finanziari per i finanziamenti del Recovery Fund».
Che potrebbero essere seriamente scaricati sui cittadini. Soprattutto se si considerano i cambiamenti sopraggiunti in materia di tassi. Il bilancio comune «risente già della pressione degli oneri per interessi, che potrebbero arrivare fino a 27 miliardi di euro per l’intero periodo pluriennale di bilancio dell’Ue (fine 2027), raddoppiando le stime iniziali».
Insomma, ci sono «sfide che non fanno sperare bene per il futuro», ammettono i revisori dei conti dell’Ue. Una di queste è senza dubbio l’attuazione dei piani per la ripresa e l’utilizzo dei fondi, per cui c’è tempo fino solo al 2026, senza proroghe. E poi c’è quello del pagamento dei fondi non a fondo perduto.
Un problema, quello dei crediti nei confronti dei mercati, che rischia di pesare soprattutto per l’Italia, principale beneficiario del programma di ripresa post-pandemico con un totale di 191,5 miliardi di euro tra prestiti (122,6 miliardi) e garanzie (68,8 miliardi) che a fondo perduto non sono. Si rischia di scaricare ulteriore 68,8 miliardi sui contribuenti di domani, oltretutto, se non si inverte la tendenza demografica, previsti in calo per un rapporto di anziani in prospettiva in pensione e forza lavoro attiva.