Dov’è la Pasqua? È a questo interrogativo che vorrei provare a rispondere. La strada semplice potrebbe essere quella di riportare il suono delle campane a festa, la gente – molta, tantissima – che si ritrova oggi in piazza San Pietro con il Papa, o in tante chiese del mondo. Ma eluderei il dramma che sta vivendo l’umanità. In due anni e mezzo di conflitto tra Russia e Ucraina si contano almeno 400mila morti su entrambi i fronti. Eluderei la tragedia che vivono i palestinesi, il dramma dei morti civili e degli ostaggi israeliani. Più di 25mila palestinesi tra donne e bambini sono stati uccisi da ottobre.
Non a torto, Papa Francesco parla ormai apertamente di una terza guerra mondiale.
Tutto questo ricorda per noi cristiani il supplizio della croce, la morte innocente. Ricorda la lacerazione di Gesù, il grido dell’ora nona. «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15, 34).
Ha fatto scalpore il silenzio del Papa dinanzi al racconto della Passione di Gesù, dinanzi alle croci del mondo, a quel raccoglimento di migliaia di pellegrini proveniente da tutti i continenti, durante l’omelia delle Palme, il Papa ha preferito non leggere, non prestare la propria voce. Non è la prima volta. Al di là dei problemi di salute, spesso strumentalizzati, Papa Francesco ci ha abituato a percepire i timbri e i significati del silenzio.
Ma la Pasqua ci ricorda che Gesù è risorto e che il Padre non ci ha abbandonato. “Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui” (Mc 16, 6). Sono le parole che l’angelo rivolge alle donne in cerca del corpo di Gesù nella tomba. Una ricerca, quella del sepolcro, che non comprende ancora l’essenziale dell’annuncio cristiano. Gesù non è un personaggio del passato. Egli ha conosciuto la morte e il dolore, ma vive, e come vivente ci indica il cammino, ci invita a seguirlo e a trovare così anche noi la via della vita.
Dov’è allora la Pasqua? In quali gesti ritrovarla oggi? Guardiamo alla storia di Rami e Bassam. I due uomini, un israeliano e un palestinese, padri di due bambine uccise una dalla pallottola di un soldato e l’altra in un attentato, sono stati ricevuti da Papa Francesco. «È stato un incontro pieno di umanità», ha raccontato Rami, «abbiamo parlato del fatto che io sono ebreo, che Aramin è musulmano e il Papa è cristiano, che siamo tutti esseri umani che possono essere fratelli. E il Papa ci ha chiesto di pregare per lui, è stato incredibile». Un’amicizia che è oltre ogni conflitto, che testimonia la necessità di un cessate il fuoco immediato, di una Palestina libera, di una pace tra israeliani e palestinesi.
Guardiamo anche alla storia di Elana Kaminka, madre israeliana di Yannai, il figlio ventenne massacrato durante il servizio militare da una granata di Hamas. Una donna da sempre in prima linea nella ricerca di una convivenza pacifica con i palestinesi e che non cede alla tentazione di odiare. A quelli a cui avrebbe voluto portare solo la solidarietà, Elana ha indirizzato una lettera: «Sto soffrendo, sto soffrendo tanto ma nel mio cuore addolorato c’è sempre posto per voi. Non avete colpa per ciò che ha fatto Hamas. Spero solo che questa terribile situazione porti in qualche modo le nostre due nazioni a imparare finalmente a vivere insieme, nel rispetto reciproco, affinché nessun genitore, israeliano o palestinese, debba seppellire i figli».
Guardiamo anche alla storia di una volontaria di 54 anni dell’Uganda. Tra le centinaia di e-mail giunte soltanto in questi ultimi giorni per la Giornata Mondiale dei Bambini, questa donna mi ha scritto che con i suoi risparmi avrebbe potuto portare a Roma solo quattro bimbi di 8 anni. Ma grazie alla generosità di tante persone, con lei partiranno dall’Uganda 12 bambini.
Lei come Rami e Bassan ed Elana sono persone che hanno il coraggio della «pace» e del donare pace. Come il primo saluto di Gesù risorto, «Pace a voi!». Persone che testimoniano la Pasqua, quella speranza cristiana in un mondo riconciliato che è più forte di qualsiasi conflitto e contrapposizione.
Il Papa ci ha ricordato come in tanti Paesi, qui in Italia e anche nella sua patria, «quando il giorno di Pasqua si ascoltano le campane, le mamme e le nonne hanno l’abitudine di portare i bambini a lavarsi gli occhi con l’acqua, l’acqua della vita, come segno per poter vedere le cose di Gesù, le cose nuove».
Abbiamo bisogno tutti di purificare il nostro sguardo, come quei bambini, per riconoscere come possibile la strada della pace. Forse la Pasqua sta proprio qui.