ROMA. Tutto il centrodestra attendeva le parole di Giovanni Melillo, il magistrato a capo della Procura nazionale antimafia all’interno della quale è esploso lo scandalo dossieraggio. Il governo vuole sapere se «c’è un regista» e «un disegno generale» dietro alle migliaia di informazioni che avrebbe raccolto illegalmente il finanziere Pasquale Striano, alcune delle quali finite sui giornali. E Melillo, parlando di fronte alla commissione parlamentare Antimafia, deve ammettere che i «fatti estremamente gravi» emersi finora «paiono difficilmente compatibili con la logica della deviazione individuale». Ci sono «molti elementi – prosegue quindi Melillo – che confliggono con l’idea di un’azione concepita e organizzata da un singolo ufficiale ipoteticamente infedele». Lo dice anche sulla scorta della sua personale esperienza, da «vittima di autentici dossieraggi abusivi come quelli ritrovati negli archivi paralleli della sede Sismi, affidati a Pio Pompa nel 2006».
La sensazione che questa sia solo la punta dell’iceberg e che un sistema di persone sia stato in grado di penetrare all’interno della procura Antimafia non è l’unico elemento di preoccupazione. La mole di informazioni, infatti, suggerisce che possa esserci «una sorta di mercato parallelo delle informazioni riservate», spiega il capo della Procura nazionale antimafia. Si deve ancora capire se questo mercato fosse «regolato da casualità e da un numero infinito di attori non collegati tra loro, oppure se ci sono logiche più sofisticate e ampie». Diventa dunque fondamentale, per l’inchiesta che sta portando avanti la procura di Perugia diretta da Raffaele Cantone, «comprendere la figura e il sistema di relazioni di Striano».
E ancora, un ulteriore allarme: la possibilità di accedere a quelle informazioni è evidentemente «frutto della debolezza dei sistemi digitali che le contengono». I numerosi accessi abusivi riscontrati, sottolinea il procuratore, sono equiparabili a «un “attacco informatico”. Una vera e propria minaccia interna». I dati che avrebbe raccolto Striano non erano però stati «esfiltrati solo dalla nostra banca-dati, che è ben lontana dall’essere un buco nero, ma anche da altri sistemi, come il “Serpico” dell’Agenzia delle Entrate, che serve a controllare i redditi, e il “Siva”, che serve a controllare operazioni finanziarie anomale». Melillo vuole rendere chiaro che la sua procura non è «un colabrodo», ma è evidente «l’assoluta necessità di un innalzamento dei sistemi di prevenzione dagli attacchi informatici».
Dall’audizione del magistrato alla guida dell’Antimafia emerge esattamente quello che il centrodestra si aspettava di sentire. D’altronde, a essere colpita dall’attività di dossieraggio è soprattutto «una determinata area politica, che era quella che andava formando l’attuale maggioranza e il governo», evidenzia Melillo. Il procuratore nazionale aveva chiesto di poter essere ascoltato in Commissione per evitare «strumentalizzazioni», «speculazioni», «disinformazione». Vuole proteggere la sua Procura, ma il centrodestra sa bene che l’inchiesta di Perugia avrà inevitabilmente un peso e uno spazio all’interno delle campagne elettorali di questi mesi, come già il caso del comizio in Abruzzo, lunedì scorso, ha dimostrato. Un ulteriore esempio arriva dalle polemiche che nascono durante l’audizione stessa, alla quale partecipa il senatore M5S Federico Cafiero De Raho, ex procuratore nazionale antimafia proprio nel periodo al quale si riferiscono le indagini. «Una presenza inopportuna», gli rinfacciano gli uomini di maggioranza. «Ma è un mio diritto da parlamentare», si difende Cafiero De Raho.
Intanto il ministro della Giustizia Carlo Nordio coglie la palla al balzo per cercare di riaprire una breccia sul tema della regolamentazione delle intercettazioni, che tante critiche gli aveva portato: «Se non vengono autorizzate dall’autorità giudiziaria, ma captate in modo eccentrico, allora deve intervenire la magistratura, e secondo me – rimarca – anche il legislatore». Ma è Matteo Salvini, più di chiunque altro, a spingere per far emergere il suo partito come la grande vittima: «La Lega è il partito più spiato e infamato», sostiene. Dà mandato agli avvocati del partito di presentare delle denunce e ipotizza che «i nomi dei mandanti» siano «di medio e alto livello». Poi mette nel mirino i giornalisti coinvolti nell’inchiesta, perché «si parla di libertà di stampa», ma in questo caso, dice, si tratta di «complicità nella commissione di un reato». Attacchi a cui si unisce il capogruppo di Forza Italia Maurizio Gasparri, che chiede di «cambiare i vertici della procura antimafia». Di fronte però a certi «giudizi di colpevolezza preventivi», con le indagini appena iniziate – fanno notare dal Pd – «sembra che il centrodestra dimentichi il principio del garantismo quando fa comodo».