Roma. Stretto di Bab el-Mandeb, gli italiani imparino a memoria questo termine. Si riferisce all’ingresso nel Mar Rosso, fondamentale rotta marittima che parte dall’Oceano Indiano e sfocia nel Mediterraneo passando per il canale di Suez. Ebbene, se nel lontano Yemen gli Houthi attaccano le navi cargo e le costringono a rotte molto più lunghe e complesse, costeggiando l’intero continente africano, ecco che immediatamente rincarano i prezzi al supermercato sotto casa.
In particolare il gas liquefatto che ci arriva dagli Emirati, e che dovrebbe sostituire il gas russo, non passa più per Suez. Così qualcuno ipotizza un aumento dell’inflazione dell’1,8% per la crisi di Bab el-Mandeb. E non solo. Qualche settimana fa, Banca d’Italia stimava che è a rischio, direttamente o indirettamente, il 16% del nostro export.
Questi effetti sull’economia non dovrebbero meravigliare, considerando come le merci vanno e vengono sempre più dall’altro capo del mondo. E se una guerra strozza una delle arterie più importanti del Pianeta, gli effetti sono macroscopici.
I primi segnali sono preoccupanti. Gli Houthi a dicembre hanno cominciato a bersagliare le navi mercantili, asseritamente quelle che rifornivano Israele, ma presto si è passati ad ogni possibile obiettivo occidentale. Ed ecco che negli ultimi due mesi il traffico attraverso il Canale di Suez è crollato.
Se ne è lamentato il presidente al-Sisi in una recente conferenza stampa: «Vedete il Canale di Suez, che frutta all’Egitto più di 10 miliardi di dollari l’anno… Gli introiti sono crollati del 40-50%, mentre l’Egitto deve continuare a pagare imprese e partner». L’Egitto non ha molte altre entrate.
Tutto il traffico mercantile che manca al Mar Rosso è costretto ora alla rotta africana. Ciò significa dai 15 ai 20 giorni in più di navigazione, costi molto più alti per assicurazioni, carburante, personale. La deviazione ha effetti persino sull’ecosistema, perché sono migliaia di tonnellate di Co2 prodotte più di prima.
Secondo Confartigianato, negli ultimi 3 mesi l’Italia ha perso 3,3 miliardi di euro per mancate o ritardate esportazioni e 5,5 miliardi per mancati approvvigionamenti. Una perdita totale di quasi 9 miliardi in appena novanta giorni.
Si è visto subito che il costo di trasporto dei container è aumentato del 360% e soprattutto le rotte italiane improvvisamente sono diventate carissime.
Ma per l’Italia c’è un’altra mazzata in arrivo. Quando i cargo sono in vista di Gibilterra, più della metà di quelli che un tempo sarebbero arrivati da noi via Suez ora vanno dritti e si dirigono su Rotterdam e altri porti del Nord Europa. Nei porti italiani, finora, il calo sarebbe del 17%. Con problemi maggiori, ovviamente, per gli scali adriatici. Questo brusco cambiamento di rotte pone in prospettiva un grosso problema al sistema portuale, sia sui bilanci, che sull’occupazione.
Oltre il danno, poi, c’è la beffa che molte merci che normalmente sarebbero sbarcate in Italia e facilmente avrebbero raggiunto la destinazione, sia nazionale, sia al di là delle frontiere, ora vengono scaricate in Olanda o Germania, e lì caricate su treni o Tir per raggiungere l’Europa meridionale. E insomma i costi per noi aumenteranno ancor di più.
Ecco perché il governo considera la missione navale “Aspides” nel Mar Rosso – e prima ancora il dispiegamento di navi militari su base nazionale – una priorità. Gli effetti sistemici di questa guerriglia sul mare possono rivelarsi molto pesanti per la nostra economia in un contesto già difficile. Oltretutto, a pagare il prezzo maggiore saremmo soprattutto noi italiani e i greci (che non a caso hanno ottenuto il comando strategico di “Aspides”), meno le nazioni che si affacciano sull’Atlantico.
Infine, c’è il problema della pirateria. È un male endemico sia al largo della Somalia, sia dalla parte opposta dell’Africa, nel Golfo di Guinea. Un aumento così cospicuo di traffico mercantile sta risvegliando gli appetiti dei pirati, che sono gang ben strutturate. Sul versante somalo opera un’altra missione navale europea, “Atlanta”, che dovrà dividersi i compiti con la sorella “Aspides”. In pratica, una flotta dovrà difendere lo stretto di Bab el-Mandeb a destra, verso lo Yemen; l’altra a sinistra, verso la Somalia. In mezzo correrà uno stretto sentiero per le navi mercantili che vorranno lo stesso raggiungere Suez.
Contro i pirati nel Golfo di Guinea opera invece una missione navale nazionale, nome in codice “Gabinia”. L’Italia non riesce a tenere permanentemente una nave militare in zona, quindi ci si alterna con altre marinerie europee. A fine marzo però gli italiani saranno presenti. —
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